Racconta Gian Luca Motta che la storia del Mulino di Basaluzzo si perde nella notte dei tempi.
Agli albori dell”anno Mille (1009 o 1010) in uno strumento notarile il mulino è ricordato fra le proprietà del Monastero di San Salvatore di Pavia.
La forza motrice era fornita da una roggia che si alimentava da una diga in terra battuta rafforzata da palificazioni lungo l’alveo del torrente Lemme in località Malfonita. La concessione per la derivazione dell’acqua fu accordata dal Marchese Bonifacio del Monferrato alla Comunità nel 1416, mentre nel 1514 si dispose l’esenzione dei dazi sulle macinazioni per la comunità di Basaluzzo.
La concessione fu più volte rinnovata dai feudatari ai gestori dell’impianto, fino al 1785 quando Domenico Grillo duca di Mondragone e signore di Basaluzzo la concesse ai fratelli Ferrari di Fresonara. Nel 1800 la proprietà del mulino passò al Comune che ne ricavava nel 1895 un reddito annuo di 2700 lire.
Il mulino che sorge a lavante del Castello dispone tre palmenti o macine e nell’immediato dopoguerra fu ampliato con la realizzazione del piano superiore. La ruota idraulica ha un diametro di 4 metri e una larghezza di 150 cm. Sotto il mulino vi è la puleggia che serviva a pompare l’acqua alla filanda di Basaluzzo.
Oggi il mulino non è più funzionante; tattavia grazie alla ristruttrazione voluta dal Comune e dal Comitato Manifestazioni è divento sede del Museo degli Antichi Mestieri e al piano superiore ospita il Museo del Tamburello.
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